Lo so che ci siete!

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La paura è buio e mostro, è l’essere che aspetta di afferrarti. E no, che non è reale! Di questo, forse, con il passare degli anni, ne hai certezza. Eppure senti che sta lì e così anche tu, alcune precauzioni per non essere preso, le adotti lo stesso. Ci sono tanti piccoli accorgimenti e sottili stratagemmi da usare all’occorrenza. Ad ognuno, il suo: per S. è uno specchio spalancato per riflettere l’immagine di eventuali intrusi, per G. è la luce accesa, per il bambino di Mercer Mayer è la porta chiusa dell’armadio, in modo che quell’essere possa restarci dentro. Chi sia quell’essere di cui si racconta nel libro lo vedono e lo leggono tutti fin dalla copertina; è una strana creatura che si nasconde nell’armadio del protagonista, un bimbetto che di infantile, è bene dirlo da subito, ha solo il pigiamone.

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L’autore fissa il suo sguardo e quello del lettore davanti alla cameretta del bambino, a volte riesce a contenerla completamente nella doppia pagina, altre volte preferisce guardare da vicino per dare enfasi al dettaglio. Quando questo accade, ci sono disegni al centro del foglio bianco, costruiti intorno al bambino o alla strana creatura, realizzati con i tratti che danno corpo, luce e ombra al colore.

Durante tutta la storia, non lasciamo mai la cameretta, restiamo lì in quel luogo costruito con pochi ed essenziali elementi grafici e narrativi. Non si tratta, però, di una storia che si risolve in una serata. Al contrario, passano i giorni e  la luna, che si intravede dalla finestra, ha tutto il tempo per diventare piena e rotonda ma in tutto questo tempo, lettore e autore non si sono mossi da lì. Sono rimasti a guardare quel preciso momento che accade ogni giorno nella vita di quel bambino, ogni volta che il protagonista è pronto per andare a dormire nella sua stanza.

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Una notte, però, qualcosa di diverso accadde. Non appena la stanza fu immersa nell’oscurità e dopo che il protagonista ebbe chiamato a raccolta i giocattoli utili in situazioni come questa (compreso l’elmetto, il fucile con il tappo e un paio di soldatini), nella storia interviene una svolta: il bambino decide di affrontare la creatura.

Da questo momento in poi inizia un gioco di capovolgimenti (chi ha paura di chi?) e una festa degli sguardi; se già da principio la mimica facciale del piccolo protagonista aveva raccontato dei suoi umori e stati d’animo, adesso, a spiegare come stanno veramente le cose, ci pensa l’espressione della strana creatura. Inizia così un dialogo non verbale tra i due, uno scambio divertente di occhiate e di cose spiegate attraverso il linguaggio del corpo.

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L’epilogo torna nelle mani del bambino: colui che ha avuto paura e ha provato a risolvere la questione con i propri mezzi. Colui che, alla fine, riconosce nella strana creatura qualcosa di vicino, di umano, di simile e finisce per occuparsene come se si trattasse di suo fratello piccolo. Ultima scena, ultima doppia pagina senza testo e sorpresa finale per svelare al lettore qualcosa che la strana creatura e il bambino non vedono. Almeno, fino a questo momento.

Hai finito di leggere, hai già chiuso il libro e ti ricordi del frontespizio. Così, torni a guardare la pagina, fissi l’unica immagine dell’armadio spalancato e ti scappa un: ‘Lo so che ci siete!’

Una strana creatura nel mio armadio, di Mercer Mayer, pubblicato da Kalandraka Italia, 2015- Miglior libro mai premiato Premio Andersen 2016 e pubblicato per la prima volta negli USA nel 1968

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