Un giorno una studentessa, ospite della casa dove viveva Alicia, spiegò a lei e a Daniel, che ogni cosa è composta da minuscoli universi in movimento e che ciò che noi vediamo è solo la forma apparente delle cose. Da quella lezione di fisica è cominciato tra i due bambini un gioco sorprendente e senza fine: la possibilità di guardare in modo nuovo ciò che era sotto i loro occhi, fino a scoprire, persino, quale fosse la vera natura delle pietre (quelle che meglio camuffano la loro esistenza).
Da quanto premesso, appare chiaro che ‘la forma apparente delle cose’ non sia esclusivamente un argomento a carattere scientifico anzi, nel libro e, forse più in generale nel lavoro di Alicia Baladan, esso è il requisito che sostanzia il racconto.
L’autrice compone i ricordi per costruire un racconto della sua infanzia. Quando si ripercorrere la propria biografia si compie un esercizio di attribuzione di significato agli eventi, agli incontri, ai momenti vissuti; grazie a questo processo si dà una forma al passato e si portano sotto gli occhi le apparenze in grado di rivelare indizi di futuro. Così, leggi gli aneddoti e le vicende e sai che, dietro a ciascun episodio che Alicia Baladan ha scelto di raccontare, ci sono pezzi di una storia passata, in grado di svelare qualcosa del presente; attraverso le pagine cominci a sentire quanto le linee di una vita possano essere profonde se tengono addosso il peso di un ideale, o di quanto indefinito sia il numero delle famiglie in cui ciascuno può essere accolto, o di come gli oggetti rubati per coltivare i ricordi siano sentimenti, sorrisi e silenzi a cui non si vuole rinunciare.
Leggi e, attraverso le vicende di quella bambina, ti sembra più familiare il segno della donna che sta raccontando; dentro a ogni singolo disegno riconosci frammenti di storie in equilibrio perfetto. Così guardando la figura dedicata al culto dei morti ti ricorderai delle ali, di un cordone spezzato a cui si teneva una navicella spaziale, e che sì, in Uruguay la maggior parte dei defunti sceglie la cremazione.
I brevi capitoli possono essere proposti, anche singolarmente, in letture ad alta voce con i bambini; l’avventura di Caruso Trusky o il tempo passato a casa dei nonni o le lezioni di musica con il Toro sono racconti ricchi di ritmo e vicini all’immaginario e alle esperienze infantili. In tutto il libro la prospettiva bambina sui fatti non viene mai tradita, nemmeno quando l’autrice parla di suo padre, del carcere, delle perquisizioni, della partenza con sua madre e di cosa significava abituarsi alla disperazione degli adulti in uno stato piegato da una feroce dittatura militare.
Le persone che hanno vissuto nelle proprie storie personali esperienze migratorie, più di altre, difficilmente si riconoscono come parte di un’unica tradizione culturale; ogni viaggio e ogni anno trascorso, abitando diversi modi di parlare, di mangiare, di fare festa, lasciano segni su ciò che diventerai. All’inizio del libro Alicia Baladan parlando dell’Uruguay racconta che i suoi conterranei di solito aprono e chiudono i capitoli delle loro esistenze come se fossero i protagonisti di un libro, e le ferite della vita rimangono loro sulla pelle, ma mai nello sguardo, sempre incontenibilmente entusiasta. ‘Uno sguardo, sempre incontenibilmente entusiasta’. Ora sai, mentre guardi i disegni di Alicia Baladan, cosa lei porta con sè di quel Paese, così apparentemente mite.
Piccolo grande Uruguay, di Alicia Baladan, Topipittori, (collana Gli anni in tasca), 2011.